La scorsa settimana il prezzo dell’oro è gradualmente diminuito, arrivando gradualmente a dimenticare l’incursione verso i 1.350 dollari per oncia. Non è detto che il prezzo non vada a fare un nuovo test del massimo raggiunto intorno ai 1.345 dollari, ma difficilmente il trend avrebbe la forza per superare questo livello. Il fatto è che, come da sei mesi a questa parte, il valore del metallo prezioso segue in modo molto stretto le dichiarazioni di Donald Trump.
In un primo momento il presidente USA ha gettato il panico sui mercati: guerra commerciale alla Cina, diffidenza verso l’Europa, dazi verso il Messico. Un intero sistema economico è rimasto con il fiato sospeso ad attendere maggiori delucidazioni, mentre a poco a poco arrivavano i disinvestimenti sui titoli più rischiosi ed il prezzo dei beni rifugio aumentava. Adesso che le pressioni sono allentate, per lo meno sul breve termine, il grafico si flette verso il basso e l’oro ritorna verso il supporto psicologico dei 1.300 dollari.
Il problema principale per gli speculatori è che, in un contesto del genere, non è affatto semplice capire come muoversi. Trump è imprevedibile ed il legame tra le sue decisioni e la quotazione dei beni rifugio è troppo evidente per essere trascurata; prospettive un po’meno confuse sono quelle, invece, che riguardano gli investitori di lungo termine e coloro che stanno soltanto cercando di soppesare la quantità di metalli preziosi da includere nel proprio portafoglio di investimenti.
Breve termine: analisi tecnica e fondamentale
Quanto al breve termine, possiamo aspettarci che scosse significative arrivino soltanto da due fronti: Iran e Cina. In entrambi i casi, la chiave di volta è il modo con cui gli Stati Uniti decideranno di affrontare i propri dissapori con queste due economie. Quanto al fronte iraniano, si sa che Trump sta facendo di tutto per indebolire la posizione competitiva di una nazione ritenuta pericolosa ed eccessivamente avvantaggiata dalle decisioni della precedente amministrazione.
Quanto alla Cina, l’unica risposta concreta potremo averla soltanto quando dei nuovi negoziati porteranno al superamento degli accordi attuali. La speranza, per i listini azionari, è che si trovi un modo per superare questo stallo fatto di dazi e accuse, arrivando ad una soluzione che possa essere vantaggiosa per tutti. Il prezzo dell’oro, invece, sale al ritmo dell’aspro diverbio tra i rispettivi capi di Stato che si sta protraendo ormai dall’insediamento di Trump in poi.
Quanto all’analisi tecnica, siamo senza dubbio di fronte al ritracciamento di un trend rialzista di lungo termine. Se non dovessero esserci grandi novità, è probabile che il prezzo dell’oro andrà scendendo o al più ritestando il massimo della settimana scorsa; non c’è un supporto abbastanza vicino per essere definito credibile nel breve termine, ma la soglia psicologica a quota 1.3000 USD per oncia può essere un primo riferimento.
Il lungo termine non è di nessuno
Sul lungo termine Trump potrebbe non essere più presidente: molto dipende dai segnali che arriveranno quest’anno, quando incominceranno i 365 giorni di campagna verso le prossime elezioni. Per questo chi non guarda soltanto alla speculazione non dovrebbe premurarsi troppo di conoscere le eventuali implicazioni di una nuova dichiarazione della Casa Bianca.
Sul lungo termine ciò che conta è altro: in primo luogo, il fatto che le rivelazioni macroeconomiche continuino a risultare positive per USA, Cina ed Europa. In Italia continua a calare la produzione industriale, ma nel complesso l’economia UE è in buono stato e concluderà l’anno in crescita. Negli Stati Uniti, anche se con qualche difficoltà, il PIL concluderà comunque l’anno con una registrazione positiva. Sul fronte cinese è molto più difficile fare previsioni, perché l’effetto dei dazi si farà sentire e con questo anche una serie di problemi intrinseci dell’economia locale: la bolla speculativa edilizia, l’avanzamento dei diritti dei lavoratori e la necessità di aprirsi agli investimenti esteri senza che questo comporti una cessione gratuita di brevetti ed opere dell’ingegno.
Sul lungo termine, dunque, sembra molto più interessante quel che arriva da Pechino che non da Washington: se e quando l’economia vivrà un’altra recessione importante, è molto probabile che sarà la Cina il luogo dove comincerà. Per il momento possiamo cominciare ad inanellare dati e proiezioni macroeconomiche, in modo da monitorare lo stato di salute dell’economia cinese; ai primi eventuali segnali d’allarme, guardando la quotazione dell’oro troveremo le nostre risposte.